DIRÒ IL RESTO ALLE OMBRE

un progetto Dehors/Audela
in collaborazione con Florian Metateatro
ispirato alla vita/opera di Konstantinos Kavafis
concept e drammaturgia di Salvatore Insana, Elisa Turco Liveri
in collaborazione con Karin Sonnsjö Lönegren
con la voce di Elisa Turco Liveri
video Salvatore Insana, Karin Sonnsjö Lönegren
musica, eseguita dal vivo, di Caterina Palazzi, contrabbasso e Paolo Spaccamonti, chitarra, fx
realizzato con il contributo della Fondazione Roma Sapienza
e del Laboratorio Studi Neogreci Mirsini Zorba
prima assoluta in occasione del festival La Forza della Poesia
Museo Tuscolano - Scuderie Aldobrandini, Frascati, 4 maggio 2024

estratti video con musica eseguita dal vivo https://vimeo.com/946344238/6ed69edd0e



DIRÒ IL RESTO ALLE OMBRE è un viaggio attraverso la vita e la produzione letteraria di Konstantinos Kavafis, poeta greco nato e vissuto per quasi l'intera vita ad Alessandria d'Egitto tra il 1863 e il 1933.

È un'opera audiovisiva che si nutre dell'enigmaticità oscura e della carica d'incombente ineluttabilità presente nei versi del poeta, colmi di spettri, di giovane carne amata persa nel tempo, di visioni notturne e di siderali distanze spazio-temporali ricostruite attraverso un uso soggettivo e ambiguo della memoria, tra la difettosità del piacere, pulsioni, tensioni e una condizione d'esilio tanto esistenziale quanto fisico e morale.




note di regia

Memoria e ricostruzione, nostalgia e melancolia, non c'è rappresentazione, non c'è narrazione lineare, c'è evocazione forse, suggestione. Con un approccio mediato dalla traduzione, o meglio dalle traduzioni, con le loro sottili differenze - ogni edizione leggermente diversa per sfumature, ambientazioni, lemmi – Dirò il resto alle ombre è un poema audiovisivo che si inabissa dentro la gloria e la disfatta d'ogni esperienza, nella distanza, quella spaziale, quella temporale soprattutto. Kavafis viaggia dentro la memoria, a ritroso, in un rinnovato presente del ricordo, dove i confini tra fatto storico e vagheggiamento del desiderio sono labili, si mescolano probabilmente.
Dentro l'ineluttabile, nella condizione di chi vive in pieno la decadenza di uno status sociale, di un'epoca, di una morale. Non trasposizione, ma ri-creazione, riscrittura poetica e politica, tra traduzione e tradimento.
La vocazione poetica, seppur altamente diffusa nell'intimo dell'essere umano, resta pratica sempre più minoritaria e spesso derubricata a sperimentazione di poco interesse, soprattutto quando travalicante il genere più riconoscibile e facilmente decrittabile. Così è ad esempio per quel cinema che non si attacca principalmente alla narrazione, che non aderisce pienamente al prevalere del contenuto sulla forma.

Entrambe, greco e italiano, siamo lingue di tramonto del Tramonto (l'Occidente), lingue in perdita d'anima, che tra un po' cesseranno di essere comprese, salvo per luoghi comuni. Entrate nel baraccone magico finché siete in tempo o non ci saranno, per voi, che dei gesti, dei gesti di muti o di balbettanti. (Guido Ceronetti)



I WILL SAY THE REST TO THE SHADOWS is a journey through the life and literary production of Konstantinos Kavafis, a Greek poet who was born and lived for almost his entire life in Alexandria, Egypt between 1863 and 1933.

It is an audiovisual work that feeds on the dark enigmaticity and charge of impending inevitability present in the poet's verses, filled with spectres, young beloved flesh lost in time, nocturnal visions and sidereal space-time distances reconstructed through a subjective and ambiguous use of memory, between the defectiveness of pleasure, drives, tensions and a condition of exile as much existential as physical and moral.

notes

Memory and reconstruction, nostalgia and melancholy, there is no representation, no linear narrative, there is evocation perhaps, suggestion.
With an approach mediated by translation, or rather the translations, with their subtle differences-each edition slightly different in nuances, settings, lemmas-I will tell the rest to the shadows is an audiovisual poem that sinks inside the glory and undoing of every experience, in distance, the spatial one, the temporal one above all. Kavafis travels inside memory, backwards, into a renewed present of remembrance, where the boundaries between historical fact and wanderings of desire are blurred, mingle probably.
Inside the inescapable, in the condition of those who live in full the decadence of a social status, of an era, of a morality. Not transposition, but re-creation, poetic and political rewriting, between translation and betrayal.
The poetic vocation, though highly prevalent in the innermost human being, remains an increasingly minority practice and often derubricated to experimentation of little interest, especially when it transcends the most recognizable and easily decrypted genre. So it is, for example, for that cinema that does not primarily stick to narrative, that does not fully adhere to the prevalence of content over form.

Both, Greek and Italian, we are sunset languages of the Sunset (the West), languages in loss of soul, which will cease to be understood in a while, except by platitudes. Enter the magic shanty while you can or there will be, for you, nothing but gestures, gestures of mutes or stutterers. (Guido Ceronetti)